Tempio di Zeus

Tempio di Zeus

Quello che si presenta al visitatore è un immenso campo di ruderi, residuo di ben più vaste rovine cui si attinse nel XIII secolo per la costruzione dei moli di Porto Empedocle. Altre sistemazioni furono date alle rimanenti rovine nei secoli successivi. Ad una certa distanza dalla facciata orientale sono i resti del grande altare del tempio: un vasto rettangolo (m. 54,50 × 17,50) con serie di piloni di sostruzione, sui quali si poggiava in antico la piattaforma della grande ara. Le eccezionali dimensioni di questo altare permettevano che vi si sacrificassero in una medesima cerimonia ben 100 buoi, rito a cui si dava il nome di ecatombe. Il tempio di Zeus è databile al V° sec. a.C.. Ci si lavorò attorno per circa 70 anni dal 480 a 406, quando, per concorde testimonianza di Polibio e di Diodoro, rimase in qualche parte incompiuto. Le sue dimensioni (m. 112,60 × 56,30 alla base) erano cosa veramente fuori dall'ordinario soprattutto nel campo dell'architettura dorica. Queste proporzioni inconsuete non sono la sola caratteristica dell'immenso edificio che, pur rientrando nei canoni fondamentali dello stile dorico, presenta originalità di concezione e di struttura tali che può ben dirsi un unicum in tutta l'architettura greca. Il Krepidoma di cinque gradini sorgeva su un possente basamento. Su di esso correva tutto intorno un muro di relativamente modesto spessore, rafforzato, a intervalli irregolari, da mezze colonne doriche all'esterno e da corrispondenti pilastri sul lato interno. Muro, semicolonne, e pilastri, erano ornati di base con sobrie modanature di tipo dorico. Non e possibile calcolare l'altezza delle colonne che doveva aggirarsi sui 17 /18 metri. Il loro diametro alla base era di m. 4,05 e le scanalature, come ci ricorda Diodoro, erano così ampie da poter contenere un uomo che vi si appoggiasse le spalle. L'ampiezza degli interassi superava gli 8 metri. Sulle colonne erano colossali capitelli, con echino costituito da due grossi blocchi giustapposti e ornato di quadruplice collarino ed abaco composto da tre lastroni. La trabeazione, dorica, era di una grandiosità senza pari. Il suo peso, l'ampiezza degli intercolumni, indussero l'ignoto architetto costruttore del tempio ad aumentare gli elementi portanti. Ed ecco che tra le semicolonne della pseudoperistasi, impostate a mezza altezza sulla parete degli intercolumni, egli aggiunse gigantesche figure di telamoni (alti circa m.7,65), ripartite in più pezzi in corrispondenza dell'assise del muro, e rappresentate a sorreggere, con le braccia inarcate all'altezza del capo e con vigoroso rilievo di muscoli irrigiditi nell'immane sforzo, l'architrave del tempio con i capitelli. Da questi spazi provengono tutti i frammenti di telamoni che in vari tempi si sono rinvenuti negli scavi.

A ricostruirne un esemplare, da più pezzi sporadici, fu Raffaello Politi nel 1825. Ma, per salvarlo dalle gravissime degradazioni a cui le offese del tempo e degli uomini lo sottoponevano, si decise di trasferirlo e sistemarlo nel museo archeologico regionale nel 1965. Sul posto sì e ritenuto di dover lasciare un fedele calco in cemento. Oltre che funzione statica, i telamoni schiacciati dalla trabeazione, sono simbolo del trionfo di Zeus sulla tracotanza dei titani. I greci di Sicilia e tra di essi gli akragantini avevano vinto nel 480 a.C. ad Himera sui barbari cartaginesi. Ed ecco l'immagine di questi barbari posta a sorreggere l'immane peso delle strutture del tempio dedicato all'Olimpio. Alla vittoria di Himera l'Olympieion deve intendersi strettamente legato ed è perciò che l'inizio della sua costruzione ed è giusto che si ponga in tempi ad essa vicini.

Valle dei Templi